ADVERSUS | How low can you go | Perché le nostre vite sono infestate da ‘influencer’ e aspiranti influencer (soprattutto ragazze ma anche qualche ‘ragazzo’)?

Perché le nostre vite sono infestate da ‘influencer’ e aspiranti influencer (soprattutto ragazze ma anche qualche ‘ragazzo’)?

Se anche voi iniziate a dare segni di squilibrio ogni volta che una cosiddetta influencer vi mostra quanto è stupenda la sua vita sappiate che la colpa non è tutta sua… Ecco come nasce il fenomeno delle influencer.

Perché le nostre vite sono infestate da ‘influencer’ e aspiranti influencer (soprattutto ragazze ma anche qualche ‘ragazzo’)?
Perché le nostre vite sono infestate da ‘influencer’ e aspiranti influencer (soprattutto ragazze ma anche qualche ‘ragazzo’)?

Come è successo che d’un tratto sono spuntate come la gramigna influencer e soprattutto aspiranti influencer che pubblicano foto (gli articoli costano troppa fatica, non fanno vedere quanto sono belle, e poi è necessario saper scrivere) di quello che mangiano, di quello che ricevono in regalo, delle ricette di cucina che sanno preparare solo loro, dei viaggi che fanno, dei prodotti miracolosi che usano per essere così belle? L’altro giorno mi sono imbattuto nella frase “…imagine they delete Instagram and boom! You are not a model anymore…” Nulla di più vero. Oggi sono tutte ‘modelle’, influencer… ragazze aprite gli occhi, se potete. Please.

Cosa è andato storto, quale incidente nella timeline in cui ci stavamo così pigramente adagiando ha causato uno shift spazio-temporale verso questa dimensione, una dimensione in cui una chiaraferragni conta più della direttrice di vogue, in cui gli stilisti pagano le influencer (a seconda della loro importanza in denaro contante o in regali e regalini, che ne so, una borsetta firmata o un paio di occhiali da sole, o magari anche niente…) per venire alla loro sfilata e farsi fotografare e rifotografare per promuovere il marchio che le ‘sponsorizza’ in quella occasione? Cosa è successo? Come mai in tutto il mondo, dagli stati uniti al Nepal, da Dubai alla Patagonia, migliaia, centinaia di migliaia di ragazzette con le labbra a canotto e i glutei più o meno sodi ma sempre rigorosamente in primo piano si autoritraggono o si fanno ritrarre nelle pose più ridicole per elemosinare qualche ‘like’, per raccattare qualche ‘follower’?

Nessuna che si chiede come mai rimangono sempre tutte lì ai nastri di partenza nonostante gli sforzi per emergere? Nessuna che si chiede se il sistema dei social sta prendendo per il (grosso) sedere anche loro, prima ancora dei loro ‘followers’?

Ma non li vedete anche voi i profili social, soprattutto su instagram, di queste ragazzette che hanno magari 3865 ‘followers’ e nel profilo già indicano ‘DM per collaborazioni o sponsorizzazioni’. Ma de che? Ma ragazze… e ‘ragazzi’… ma de che? Sponsorizzazione de che?  Ma non vi rendete conto che non andrete da nessuna parte? Che il gioco è truccato? Che quando leggete di una chiaraferragni a caso e vi viene voglia di diventare come lei siete voi le prime vittime del raggiro? Che per una che (forse, e poi è da vedere per quanto) ce la fa ce ne sono un milione di altre che rimangono ferme ai blocchi di partenza con le labbra a canotto?

Boh. Ogni tanto penso che la stupidità delle masse sia alla base del successo di questi social, come anche in passato è avvenuto con altri fenomeni sociali importanti, ma temo che oggi, 21esimo secolo, la situazione sia messa ancora peggio. Idiocracy stiamo arrivando…

I motivi per cui oggi ci troviamo in questa imbarazzante situazione sono tanti, e tutti continuano a dare il loro contributo nel rafforzare ulteriormente la situazione in cui versano le fragili menti delle masse. Nessuno escluso. A parte qualcuno.

Questo fenomeno delle influencer è un sogno bagnato di chi si occupa di marketing, dagli anni ’40 o forse anche prima. Da quando cercavano di stimolare l’invidia per l’auto dei vicini, o organizzavano party tra ‘amiche’ per piazzare pentolame vario alla ristretta cerchia di conoscenti. Il fenomeno Tupperware qualcuno se lo ricorda? No? Andatevi a leggere qualcosa su internet, è molto interessante vedere come oggi lo stesso modello viene riproposto con l’aiuto delle nuove tecnologie. Lasciate perdere la chiaraferragni per un attimo, e rendetevi conto che il vero ‘traffico’ sui social, i veri numeri di ‘followers’ lo generano quei milioni di aspiranti ‘influencer’ che non sfonderanno mai, ma che intanto si sbattono, generano traffico per i social network (che si nutrono di traffico e conseguentemente vendemmiano i dati dei loro utenti) e null’altro. “DM per collaborazioni e per sponsorizzazioni”. Ragazze, aprite… gli occhi, please.

A questo aggiungiamoci la crisi ormai devastante dell’editoria tradizionale, su cui si investe sempre meno in pubblicità, e adesso quella dell’editoria online che per qualche anno aveva avuto successo e che adesso – anche a causa dei social – boccheggia e viene usata più che altro anche lei per raccogliere i dati dei lettori. Una volta c’erano i banner con cui si mantenevano intere redazioni, oggi i banner non portano più niente, e quello che si mercanteggia tra inserzionisti, centri media, grossi editori, sono i dati dei lettori. Ragazzi, i vostri dati, le vostre abitudini di navigazione, i vostri interessi. Ci siamo capiti?

E poi gli smartphones, ormai onnipresenti e sempre connessi, con questa telecamerina sul davanti, perfetta per riprendersi in ogni situazione e poi postarla immediatamente sul social preferito per far morire di invidia i vicini di casa e magari raggranellare un like o un follower… ma perché non provo anche io a diventare una influencer? Non mi costa nulla… lo smartphone è qui, la connessione a internet funziona… i social sono gratis… GRATIS? Qualcuno ha detto gratis? Ragazzi, e qui riciclo una frase che gira da tempo. Non esiste nulla di veramente gratis, e se non dovete pagare per un servizio come ad esempio i social network, significa che il prodotto siete voi, e che verrete spennati di tutti i dati privati e personali che vi riguardano. Sì, anche di quelli…

Se a tutto questo aggiungiamo anche il narcisismo insito in ognuno di noi, e la mania di protagonismo che i social diabolicamente e scientificamente riescono a stimolare nelle masse, è facile capire come il sogno di diventare una ‘influencer’ non passa solo attraverso il desiderio di guadagnare soldi facili (solo il sogno chiaramente), ma anche attraverso il bisogno fondamentale del ventunesimo secolo: apparire.

E infine la disperazione degli inserzionisti, che attanagliati dalla crisi economica non più dichiarata in cui ci troviamo da oltre dieci anni, privati dei punti di riferimento tradizionali come i quotidiani stampati, i settimanali, i sette o otto canali televisivi del decennio scorso non sanno più dove investire i loro budget pubblicitari. E così provano a seguire le mode, e in questo momento la moda prevede che le influencer siano il posto migliore in cui metterlo. Il budget intendiamo.

Questo, cercando di farla breve, il triste scenario socioeconomico che ha favorito la crescita del fenomeno delle influencers. Così magari la prossima volta, prima di dare un like, di pigiare il bottone follow… pensateci, non contribuite anche voi alla crescita di questo fenomeno. Lasciamo che rientri pacificamente, si spenga, così come sicuramente avverrà, senza lasciare traccia. Grazie.

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