ADVERSUS | How low can you go | La crisi di Condé Nast (Vogue, Glamour &Co.) Il New York Post parla di perdite ingenti, licenziamenti, fughe e cessione

La crisi di Condé Nast (Vogue, Glamour &Co.) Il New York Post parla di perdite ingenti, licenziamenti, fughe e cessione

La crisi di Condé Nast pare aver toccato i livelli di guardia. Se perdi 100 …

La crisi di Condé Nast (Vogue, Glamour &Co.) Il New York Post parla di perdite ingenti, licenziamenti, fughe e addirittura di possibile cessione
La crisi di Condé Nast (Vogue, Glamour &Co.) Il New York Post parla di perdite ingenti, licenziamenti, fughe e addirittura di possibile cessione

La crisi di Condé Nast pare aver toccato i livelli di guardia. Se perdi 100 milioni di dollari in un anno considerato ‘terribile’ (cento milioni di dollari!!!), se alcuni degli editors più famosi del tuo gruppo iniziano ad abbandonare la barca (da Cindi Leive di Glamour a Graydon Carter di Vanity Fair tanto per fare un paio di nomi altisonanti nel mondo dell’editoria patinata d’oltreoceano), se in Italia titoli come L’Uomo Vogue, Vogue Bambini, Vogue Sposa e Vogue gioiello vengono chiusi… se Condé Nast Entertainment ha appena licenziato 200 dipendenti… e si parla di altri licenziamenti all’orizzonte…

Se la reginetta della moda Anna Wintour pare stia cercando di chiudere le falle come può… ma soprattutto se iniziano a girare voci di una vendita e vengono addirittura fatti nomi come Google, Amazon, Apple, il gruppo Hearst come potenziali nuovi padroni… beh, forse possiamo dire che si chiude un ‘epoca.

Il New York Post parla di perdite ingenti, licenziamenti, fughe e addirittura di possibile cessione.

Non che il gruppo Condé Nast abbia mai ispirato particolare simpatia, né i suoi dipendenti se è per questo. Troppo atteggiati, chi li conosce anche solo indirettamente lo sa. Però, per alcune decine di anni, la corazzata Condé Nast ha potuto fare quello che voleva. Erano quelli di Vogue, dopo tutto. E chi, nel mondo della moda e della comunicazione aveva voglia di mettersi contro un nome come Vogue? Nessuno, credeteci, nessuno.

Però adesso che i problemi, quelli veri, del gruppo iniziano a venire a galla, adesso che si parla di licenziamenti, di perdite di 100 milioni di dollari in un solo anno, di potenziali acquirenti come Google, Apple o Amazon… fa un po’ impressione. Non dispiace, ma fa pensare.

Fine di un’epoca probabilmente. Fine di un mondo, quello della moda, quello delle riviste patinate, delle passerelle esclusive, il ‘vecchio mondo della moda’, quel mondo che ha pensato di essere al centro del mondo, e come tale si è comportato. Le sfilate, le cosiddette settimane della moda, sono ormai (purtroppo) degli accrocchi di nomi sempre più spesso sconosciuti messi lì per giustificare la settimana di sfilate.

La settimana della moda uomo a Milano è ormai irriconoscibile, quella della donna anche. Perché? Perché non ci sono più soldi, sono finiti, spariti, kaputt. Ma l’atteggiamento di quelli che ‘lavorano nella moda’, quello sì, rimane. Lo snobismo di alcuni resta imperterrito nonostante il castello si stia sgretolando sotto i loro piedi. Ma non vogliono vederlo.

Oggi la Condé Nast. E poi a chi tocca?

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