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La violenza sulle donne. Il punto di vista della psicologa

Di violenza sulle donne si parla ciclicamente, forse quando i media e i loro dipendenti …

La violenza sulle donne. Il punto di vista della psicologa
La violenza sulle donne. Il punto di vista della psicologa

Di violenza sulle donne si parla ciclicamente, forse quando i media e i loro dipendenti ricevono istruzioni in merito. Eppure quello della violenza sulle donne è un problema che purtroppo esiste e resiste 365 giorni l’anno, e non solo in vista di specifiche ricorrenze. E riguarda tutte le donne, perché a chiunque può capitare di ritrovarsi vittima di violenza, domestica o meno. Ne parliamo con la D.ssa Francesca Cenci – Psicologo, psicoterapeuta, psicologo dello sport.

La prima domanda che le vorremmo porre riguarda la sua esperienza clinica e il suo rapporto diretto con le pazienti. La definizione di ‘violenza sulle donne’ se ripetuta in ogni contesto rischia di perdere il suo significato. Può aiutarci ad inquadrare in maniera concreta cosa si intende quando si parla di ‘violenza sulle donne’?

La VIOLENZA SULLE DONNE è un problema purtroppo dilagante, che nonostante l’informazione e gli strumenti che abbiamo a disposizione, difficilmente riusciamo a tamponare. Ne sono la prova gli innumerevoli femminicidi che stanno purtroppo accadendo di continuo.

La violenza generalmente è un vero e proprio excursus che parte con delle minime anomalie all’interno del rapporto, che però sono dei veri e propri campanelli d’allarme.

Gli uomini iniziano ad essere particolarmente gelosi e possessivi e cercano di limitare l’autonomia della propria compagna in maniera graduale, quindi le impediscono di frequentare la sua famiglia di origine, gli amici e se riescono la portano a licenziarsi dal lavoro perdendo così anche l’indipendenza economica.

Il passaggio successivo è quello di denigrarla in pubblico, sottovalutando, sminuendola e così facendo ledono l’autostima e il senso di autoefficacia.

Da questo agli insulti, le minacce e il maltrattamento verbale il passo è breve, così come l’ultimo, ossia passare dalle parolacce alle vere e proprie violenze fisiche.

Non mi stancherò mai di ripetere alle donne che non devono sottovalutare i primi segnali, non devono chiudersi in loro stesse, non devono vergognarsi, ma parlarne, confrontarsi con famigliari, amici o rivolgersi ai centri antiviolenza. Non aspettate che sia troppo tardi!

Quale, secondo lei, il rapporto tra le donne che trovano il coraggio e la forza di rivolgersi a qualcuno che le possa aiutare, e quelle che continuano a subire senza reagire?

Le donne che riescono a trovare il coraggio di chiedere aiuto riescono a svincolarsi da quel rapporto malato di dipendenza psicologica e non perdono la lucidità che le consente di focalizzare la presenza di un problema.

Probabilmente hanno una personalità di natura più forte, oppure sono maggiormente supportate o hanno una motivazione estrinseca, come ad esempio i figli, che danno a loro la spinta per reagire.

Quelle che desistono spesso sono fortemente assoggettate e spesso non si accorgono nemmeno del fatto che il rapporto che stanno vivendo sia patologico. Entrano nell’ottica di idee che è “normale così”, negano qualsiasi forma di aiuto e, anzi, spesso sono proprio loro che difendono o coprono il loro abuser.

Come si reagisce?

Si reagisce prima di tutto parlandone. Il confronto è essenziale, sia per avere un parere esterno, di qualcuno che non essendo direttamente e affettivamente coinvolto, vede la situazione nel suo complesso e con maggior distacco, e quindi ci può aprire gli occhi, sia perché ci può fornire un aiuto pratico.

Quindi parlare con parenti, amici, il proprio medico, uno psicologo. Con chiunque, ma bisogna parlarne. In un secondo momento occorre in determinate situazioni, rivolgersi a un centro antiviolenza, che può aiutare le donne a proteggersi e a iniziare una nuova vita, finalmente libere.

So che si potrebbe scrivere un libro sull’argomento e che è difficile sintetizzare la risposta in poche righe, ma ci proviamo lo stesso. Quali sono secondo lei le cause di questo problema, e perché in Italia nel ventunesimo secolo questo problema è ancora così presente e così attuale?

Un libro rispetto a ciò io lo ho scritto e si chiama “Amare da morire – come sopravvivere all’amore malato”, in cui cerco di spiegare questo e non solo, dato che il mio intento era anche quello di fornire consigli utili e preventivi.

In poche righe posso dire che il problema sta alla base del rapporto, che è quasi sempre malato alla radice, ma abbiamo la cattiva abitudine, in parte tramandata, di trascinare le relazioni comunque e soprattutto noi donne abbiamo innato il senso di sacrificio e di sopportazione, che in tanti casi è una grande risorsa, ma in questo caso un limite.

Inoltre tante donne hanno paura del proprio compagno oppure non si sentono economicamente indipendenti, o non abbastanza sicure di sé e questi sono tutti fattori che le portano ad accettare le violenze e a non cercare un’alternativa.

Margherita.net

Francesca Cenci Psicologo, psicoterapeuta, psicologo dello sport.
Nel corso di questi anni ha lavorato in svariati contesti di cura pubblici e privati come psicologo clinico, si è specializzata in rapporti di coppia e in sostegno alla genitorialità e il suo blog “due cuori e una famiglia” è molto seguito. Attualmente svolge la libera professione in due Poliambulatori privati a Salsomaggiore e a Parma, è consulente per due strutture psichiatriche del gruppo Gesin Pro.ges. ed è uno dei preparatori mentali della Federazione Italiana Tennis. Viene spesso invitata in programmi TV come psicologo, in qualità di esperto, http://www.francescacenci.it

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