ADVERSUS | Academica | L’effetto placebo e l’importanza delle parole e della speranza per guarire

L’effetto placebo e l’importanza delle parole e della speranza per guarire

L’effetto placebo non è un qualcosa di astratto, una leggenda metropolitana. L’effetto placebo è talmente …

L'effetto placebo e l'importanza delle parole e della speranza per guarire
L’effetto placebo e l’importanza delle parole e della speranza per guarire

L’effetto placebo non è un qualcosa di astratto, una leggenda metropolitana. L’effetto placebo è talmente ‘vero’ che la ricerca medica è costretta, nella sperimentazione, ad inventarsi tecniche e metodi che permettano di distinguere le guarigioni dovute all’effetto placebo da quelle effettivamente dovute al farmaco che si sta sperimentando. Come è possibile che il pensiero e le parole possano influenzare l’andamento di una malattia? Ne parliamo con il Prof. Fabrizio Benedetti, Professore ordinario di neurofisiologia e fisiologia umana presso l’Università di Torino, autore di ‘La speranza è un farmaco’ edito da Mondadori, di cui potete leggere la scheda facendo click qui.

Lei è uno dei massimi esperti a livello mondiale, come spiega l’effetto placebo? Le chiediamo per un attimo di non attenersi strettamente alla spiegazione scientifica, ma di dirci quelle che sono le sue ipotesi e le sue idee in merito, anche se non completamente supportate dalla ricerca ufficiale…

Un placebo è una terapia finta che il paziente crede sia vera. In una terapia finta non c’è il farmaco vero, tuttavia rimane tutto il rituale dell’atto terapeutico, il quale è costituito dalle parole e i comportamenti del medico, dal contesto intorno alla terapia, dalle apparecchiature mediche, ecc. Ecco, tutti questi simboli inducono aspettative, fiducia, speranza di guarigione. L’effetto placebo è dunque la componente psicologica e sociale di una terapia, che a volte è tanto potente quanto una terapia vera.

Quanto è importante l’atteggiamento e quanto influiscono le parole del medico nel comunicare una diagnosi al paziente e durante la terapia?

Le parole del medico e il suo atteggiamento rivestono un ruolo cruciale. A volte, parole positive e un sorriso mettono il paziente a proprio agio e la sua ansia diminuisce. Sia ben chiaro, un sorriso non guarisce da un tumore o da una patologia grave, tuttavia una comunicazione empatica fra medico e paziente conduce ad una migliore accettazione della malattia, ad una riduzione dei sintomi, ad una migliore aderenza alle terapie prescritte.

E quanto è importante l’atteggiamento del paziente nei confronti della malattia? Esistono degli studi sull’andamento di una malattia in pazienti che affrontano la terapia con diverso stato d’animo?

Certamente sì. Come il paziente affronta la malattia è altrettanto essenziale. La speranza, che possiamo definire come l’aspettativa e il desiderio che il futuro sarà migliore del presente, ha qui un ruolo chiave. Chi è capace di avere grandi speranze, ha grandi probabilità di affrontare meglio e superare la malattia. Purtroppo non è detto che ciò conduca a guarigione, tuttavia sicuramente conduce ad una maggiore tolleranza al dolore, alla sofferenza, al disagio fisico, psichico, esistenziale. Ed è proprio qui che le neuroscienze hanno fatto grandi scoperte.

Nel suo libro leggiamo che ‘le parole attivano le stesse vie biochimiche di farmaci come la morfina e l’aspirina’. Cosa intende, esattamente, con questo? Cosa significa?

Il concetto che è appunto emerso negli ultimi anni è che le parole, la speranza, la fiducia, le aspettative positive, colpiscono gli stessi bersagli chimici dei farmaci. Se io spero e credo che il mio dolore sparirà, il mio cervello inizia a produrre sostanze chimiche simili alla morfina, e gli stessi bersagli chimici dell’aspirina vengono attivati. Perciò, il nostro stato psicologico e la nostra forza di combattere la malattia sono dei veri e propri farmaci in grado di ridurre la sofferenza. Nel corso dell’evoluzione, noi siamo stati dotati di questi bersagli chimici, i quali ci aiutano nelle interazioni sociali e nell’affrontare situazioni ostili. Poi, visto che la specie umana è intelligente, l’uomo ha creato delle molecole (i farmaci) che potenziano questi meccanismi, tuttavia già esistenti agli albori di Homo sapiens.

Quale il suo consiglio, pratico, a chi si trova in una condizione difficile dopo una diagnosi, e ai suoi familiari? Come reagire, e a chi rivolgersi per trovare un sostegno che vada nella direzione giusta?

In una situazione difficile, in cui la malattia prospetta un futuro incerto, la forza di combattere e di credere che ci può essere un futuro positivo è determinante. Per chi non riesce da solo a superare con la forza della speranza i momenti difficili, il supporto psicologico è cruciale. Questo è mirato a cambiare il significato di malattia e di sofferenza da negativo in positivo, dove la malattia viene vista come un’opportunità. Vivere la malattia positivamente e affrontare lunghe e dolorose terapie può aprire gli occhi su sè stessi, sui propri cari, sul mondo intorno, e tutto ciò permette di superare la sofferenza con maggiore energia. Proprio come fanno i farmaci.

Ringraziamo il Prof. Fabrizio Benedetti
Professore ordinario di neurofisiologia e fisiologia umana presso l’Università di Torino

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