ADVERSUS | How low can you go | Tecno-controllo sociale e limitazione della libertà individuale. Lo smartphone – ma non solo – come strumento di controllo

Tecno-controllo sociale e limitazione della libertà individuale. Lo smartphone – ma non solo – come strumento di controllo

Come lo smartphone che hai in tasca, che metti nello zaino dei tuoi figli, che tanto è utile può rivelare un lato molto oscuro… e lo smartphone è solo uno dei tanti oggetti smart che avrai in casa.

Tecno-controllo sociale e limitazione della libertà individuale. Lo smartphone – ma non solo – come strumento di controllo
Tecno-controllo sociale e limitazione della libertà individuale. Lo smartphone – ma non solo – come strumento di controllo

Un lungo articolo pubblicato dal New York Times il 19 dicembre 2019 punta il dito – per la prima volta forse a livello di mainstream media – sul controllo a cui siamo tutti sottoposti (almeno chi ha in tasca uno smartphone) da parte di compagnie telefoniche, social media, produttori di apps, hackers, governi…

Lo sapevamo già, ma quando lo vedi scritto nero su bianco, con esempi di situazioni in cui il lettore può facilmente riconoscersi ed identificarsi… beh forse è arrivato il momento di rendersi conto che il famigerato chip sottopelle non è e forse non sarà mai necessario. Molto meglio mettere in tasca di ogni individuo un computer dotato di gps, videocamera, microfono, rilevatore di impronte digitali, riconoscimento facciale, e poi rendere a questo individuo impossibile separarsi da questo oggetto. Si chiama smartphone.Troppo utile, troppo divertente, troppo peccato non averlo sempre in tasca.

Il gioco è semplice, e ci guadagnano tutti in fin dei conti.

Ci guadagnano le compagnie telefoniche che i moltissimi e dettagliatissimi dati personali li possono usare come vogliono, anche rivendendoli, ci guadagnano gli avvoltoi del marketing più aggressivo che non perdono occasione per cercare di monetizzare abitudini, spostamenti e comportamenti, ci guadagnano i social network che vendono la pubblicità e non solo analizzando tutto quello che viene scritto, detto, pensato, e analizzano anche il dove e il quando… ci guadagnano i governi che chiaramente acconsentono a questa vendemmia di dati intimi e personali a patto di poter a loro volta poterci ‘pucciare il biscotto’.

Ci guadagna tutta la filiera degli avvoltoi che si nutre dei nostri dati personali.

E il fenomeno non è limitato allo smarthpone. Pensate alle cosiddette smart TV, che registrano tutto quello che guardate, e sono dotate di telecamera e microfono, pensate ai vari assistenti vocali ‘intelligenti’ come Alexa di Amazon, Google Home, pensate alle telecamere intelligenti che avete in casa – collegate a internet “per la vostra sicurezza”, al robottino che vi pulisce il pavimento come in un film di fantascienza ed è collegato alla internet of things. Pensate ai servizi di streaming online di film, musica, che sanno tutto di voi, dei vostri gusti, delle vostre preferenze. Pensate ai vostri provider di accesso a internet soprattutto se non siete protetti da un VPN serio. Pensate agli innocui giochini sul vostro smartphone. Non sono sempre così innocui. Pensate al vostro nuovo smart-watch. Pensate al vostro computer con Windows 10 installato. A Cortana, a Siri… Pensate alle sempre più onnipresenti telecamere di sicurezza agli angoli delle strade, nei negozi. Associatele ad un programma di riconoscimento facciale e tirate le somme. Aggiungeteci anche dei microfoni per completare il quadro. Pensateci.

Quando si legge un articolo come quello pubblicato dal New York Times – che non dice nulla di nuovo – e poi si continua come se nulla fosse successo, si dà implicitamente il consenso alla vendemmia dei nostri dati personali. Non mi stupirei se un giorno si stabilisse che ‘doveva saperlo che ogni suo spostamento ed ogni sua conversazione era controllata ed analizzata, è un fatto ormai di dominio pubblico’ e pertanto va bene così.

Pensateci. Non avete nulla da nascondere? Sicuri? E se quello che dite e fate oggi è perfettamente legale ma non lo sarà tra dieci anni? Capita. E se tra dieci anni quando sottoporrete la vostra candidatura per un nuovo lavoro vi dicessero “mi spiace ma non possiamo assumerla a causa di idee che lei ha espresso in passato”. Succede già, e i social media a cui tutto abbiamo affidato, anche sfoghi giovanili dettati dalla rabbia di un momento, permettono di andare a scavare nel passato di tutti. E sarà sempre peggio.

Cosa pensate di fare? Magari evitare oggi di esprimere un pensiero deviante? Evitare addirittura di concepire tale pensiero? Bravi, benvenuti nel nuovo mondo globalizzato, politicamente corretto, in cui pensare è pericoloso, in cui dire la verità è un atto rivoluzionario. Opsss… questa ultima frase la ha già scritta qualcun altro, temo.

Pensateci. Certo, il progresso tecnologico è per molti versi inevitabile, spesso molto utile, ed è anche vero che a molte cose non si sfugge. Ma c’è modo e modo, e chi può usare la propria testa, anche magari a costo di rinunciare a qualche indubbia comodità, può sottrarsi – singolarmente – almeno in parte a quello che si sta profilando come un futuro oscuro e distopico per le masse che non pensano e per quali ‘va bene così!’.

Pensateci.

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