
Celine è sempre stata all’incrocio tra tradizione e tendenza, ma con Michael Rider alla guida, la collezione Primavera 2026 non si limita a camminare sulla linea: la percorre con passo sicuro e sfrontato. In una sfilata coed che sembrava un sogno Ivy League incontrare una ribelle del Rive Gauche, Rider ha presentato un guardaroba fatto di contrasti: al tempo stesso massimalista e minimale, nostalgico ma decisamente contemporaneo. Se la moda è un linguaggio, Celine ora lo parla in perfetta doppia lingua.

Le radici americane di Rider – la sua esperienza da Ralph Lauren è ormai leggenda – emergono in silhouette scolastiche e impeccabili: rugby shirt oversize, cravatte a righe, camicie Oxford stiratissime sotto maglioni portati sulle spalle con nonchalance. Ma tutto questo si eleva grazie all’eleganza sobria del bourgeois parigino: foulard di seta annodati sotto blazer sartoriali, pantaloni a pieghe con stivaletti morbidi da wrestling, e trench minimalisti che sussurrano raffinatezza. È ciò che accade quando uno studente modello del New England si innamora di una gallerista di Saint-Germain… e le ruba il guardaroba.

In tempi incerti, Rider risponde con certezze sartoriali: abiti pensati per durare, tramandarsi, diventare cimeli. Cappotti cammello con linea Impero, abiti in avorio con tasche sobrie sul petto, blazer lunghi dal taglio impeccabile – sono questi i pilastri di un nuovo guardaroba ereditario. In una stagione dominata da micro-tendenze effimere, la scelta di investire sulla longevità ha il sapore della rivoluzione.

La sfilata cancella con grazia le barriere tra maschile e femminile. Uomini e donne sfilano con gli stessi codici: blazer universitari, maglieria colorata, tagli slim. Il menswear gioca con un dandismo rilassato – giacche da pesca oversize, completi morbidi, foulard accesi annodati con disinvoltura – mentre il womenswear si muove tra il minimalismo à la Philo e le linee affilate alla Slimane. Da Celine, il genere non è una definizione: è un’opzione di styling.

Se gli abiti bisbigliano eleganza, gli accessori urlano stile. Bracciali fino al gomito, anelli sovrapposti a decine nei colori primari, collane cariche di charm (dadi, Tour Eiffel, loghi Triomphe). Le cinture sono tempestate di fibbie argentate, i foulard di seta si annodano al collo, si infilano nei passanti, o si lasciano fluttuare dalle borse. Le borse? Gigantesche. Dai cestoni in rafia alle tote in pelle lucida, Rider gioca con le proporzioni come uno scultore con l’argilla: senza paura.

Camel, avorio, nero e beige sono la base. Ma a ravvivare la passerella arrivano accenti di verde prato, rosso pomodoro, blu cobalto e acquamarina. I colori vibrano su accessori, cravatte, anelli e fodere interne dei cappotti, svelandosi solo in movimento. Un’idea di styling pensata per chi ama i dettagli che si rivelano solo a uno sguardo attento.

Per la sera, Rider abbandona il dramma e abbraccia la sobrietà scintillante. Little black dress con perline jet, abiti da sera strapless tempestati di paillettes, giacchine tuxedo cropped – è un’eleganza che non urla, ma incanta. Anche il crochet nero diventa inaspettatamente sofisticato, tra romanticismo e coolness.
Tra heritage e innovazione, Rider costruisce una collezione che non rinnega il passato, ma lo reinterpreta. C’è l’essenzialità di Philo, la silhouette affilata di Slimane, e l’ironia preppy di Rider stesso. Ma questo non è un collage nostalgico: è una dichiarazione d’intenti.