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Gabriele Surdo, Filmmaker. Il bisogno di comunicare attraverso il linguaggio audiovisivo

I primi cortometraggi autoprodotti, i riconoscimenti nei Festival, la Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo di Napoli del 2005, e poi Londra un teatro completamente nuovo che ha dato…

Gabriele Surdo. Filmmaker - Photo Courtesy of Gabriele Surdo
Gabriele Surdo. Filmmaker – Photo Courtesy of Gabriele Surdo

Da un piccolo borgo dell’entroterra salentino a Londra. Il salto è grande, ma per un filmmaker è probabilmente un salto dovuto. La crescita professionale, che viaggia di pari passo con quella personale, richiede a volte che ci si rivolga a realtà profondamente diverse per aprire porte che altrimenti rimarrebbero ermeticamente chiuse. Così è stato per Gabriele Surdo, uno dei ‘filmmaker’ italiani di maggior talento, un ‘quarantenne figlio della generazione X’ come si autodefinisce, che dopo Londra è tornato in Italia, a Milano, dove ha la sua casa di produzione e dove continua nella sua carriera di produttore e Director.

In questa intervista Gabriele Surdo di parla dei suoi inizi, di cosa lo ha spinto ad intraprendere questa carriera, di come ha coniugato la sua passione per il cinema con le nuove tecnologie digitali. E del suo progetto – per ora – ancora nel cassetto.

Gabriele Surdo. Filmmaker - Photo Courtesy of Gabriele Surdo
Gabriele Surdo. Filmmaker – Photo Courtesy of Gabriele Surdo

Come hai iniziato la tua carriera di filmmaker? Come ti sei avvicinato a questa professione, e come hai imparato a produrre video?
Come dare una risposta breve ed esaustiva a questa domanda? Forse agli inizi avevo più a fuoco le dinamiche ma a distanza di tempo mi sembra molto complesso e per certi versi molto faticoso. Sebbene stiamo parlando  di un arco temporale di soli 20 anni, il mio mondo era lontano anni luce da quello attuale. Era diverso da un punto di vista sociale, culturale  e antropologico.

Radicalmente complesso. Fino alla maturità vivevo in un piccolo borgo dell’entroterra salentino che respirava agricoltura e artigianato. L’industria quasi inesistente se non per pochissime realtà che riuscivano a garantire un “posto di lavoro” per la vita, il turismo arrancava sotto tutti gli aspetti. Era impossibile prescindere dalla logica per la quale la scelta della professione poteva divergere da quell’impianto sociale, era impensabile solo pensare ad un’alternativa. Erano ancora in pochi i diplomati che continuavano gli studi al fine di percorrere sentieri alternativi. Andare al cinema era quasi considerato un lusso, anzi per tanti di noi alla fine degli anni novanta Cinema era sinonimo di Televisione, di quella del varieta’ di fine settimana, delle partite della nazionale, dei film Americani di un decennio prima e dei B movie Italiani.

Sigur Rós – Rembihnútur (Valtari Film Competition) by Gabriele Surdo from Gabriele Surdo on Vimeo.

Quando a 19 anni in un periodo della mia vita caratterizzato da una forte inquietudine esistenziale mi trovai seduto in una poltroncina nel cinema d’Azeglio a Parma ad assistere alla proiezione del Grande Lebowsky rimasi stregato. Totalmente. In quel periodo in cui sentivo un necessario bisogno di comunicare il mio disagio scoprii il linguaggio audiovisivo. Da quel colpo di fulmine l’amore per le arti visive pian piano divenne mestiere che andava a completarsi giorno dopo giorno. Studio e privazione, amore e passione, realtà e immaginazione. Tanta immaginazione, perché all’inizio potevo soltanto immaginare come potesse essere costituito un set, quali figure professionali entravano a far parte di questo grande gioco, quali potevano essere gli aspetti produttivi. Era come essersi buttato da uno scoglio altissimo dal quale non si poteva mai raggiungere terra. Una sensazione di vuoto che non riuscivo a riempire con quelle poche e scarne informazioni che cercavo di rubare al di là di quel mondo che era comunque molto lontano dal mio quotidiano, un mondo nel quale non riuscivo ad avere accesso. Era come vivere sulla terra cercando di respirare l’aria di Marte. Tanto da essere considerato per certi versi un marziano, un ventenne che non aveva voglia di lavorare, uno che voleva fare “l’artista” e vivere di aria fritta.

ESPRIT FW18 DIRCUT from Gabriele Surdo on Vimeo.

Compresi da subito che il montaggio era alla base di quel nuovo linguaggio e che partendo dall’approfondirne la conoscenza potevo avere maggiore concretezza su come poteva svilupparsi tutto il processo creativo e produttivo di questo mestiere. Con i proventi  di svariati lavori saltuari alimentavo la mia sete di conoscenza, acquistavo dvd e libri come un matto e a volte non mi rimanevano nemmeno i soldi per mangiare. La prima cambiale per acquistare la prima stazione di montaggio e la prima camera DV. Benedico ancora quelle risorse cosi’ risicate perché hanno sempre alimentato quel sano rapporto dialettico tra Etica ed Estetica del linguaggio che tuttora disegna i tratti della mia cifra stilistica. Poi i primi cortometraggi autoprodotti, i primi riconoscimenti nei Festival, la Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo di Napoli del 2005, e poi Londra un teatro completamente nuovo che ha dato continuità al mio salto nel buio e che ha rafforzato quella sensazione di vuoto allo stomaco diventata oramai necessaria per ogni mia produzione.

IMPERIAL ADV FW16 – THE GANG from Gabriele Surdo on Vimeo.

Come ho iniziato, come mi sono avvicinato, come ho imparato a produrre Video? Forse la risposta più breve ed esaustiva ora l’ho trovata.

Non mi sono avvicinato volontariamente, sono stato piuttosto avvicinato e sedotto da un linguaggio nuovo che non faceva parte del mio background che per qualche motivo ancestrale si e’ talmente annidato nel mio io tant’è che ho come la sensazione che non ci sia mai stato un vero e proprio inizio, una cosa e’ certa non sento di aver imparato a fare questo mestiere piuttosto ho la sensazione viva di continuare a imparare giorno dopo per giorno con un approccio per il quale ogni giorno è il primo di una lunga serie.

La tecnologia anche nel campo video ha fatto dei passi da gigante, i ‘tool’ del mestiere sono molto più abbordabili dal punto di vista economico, le DSRL e le Mirrorless vengono ormai usate per produrre video professionali. Quali sono secondo te al momento le foto/videocamere che offrono i migliori risultati (tra quelle semiprofessionali), quali i formati di sensore più adatti alla produzione video?
Sono stato uno dei primi ad investire nella tecnologia  DSRL alla quale devo davvero tanto, in primis perché mi ha dato la spinta a ritornare in Italia 9 anni fa e “aprire” il mio primo studio di produzione con il quale ho iniziato a realizzare lavori esteticamente più completi tra music video e fashion film che mi hanno dato notevole visibilità nel mercato attraverso il circuito dei festivals. Ma per quanto riguarda la mia personale esperienza la tecnologia che mi ha dato tantissimo dal punto dell’informazione e’ stata internet. Sono un quarantenne figlio della generazione X, la generazione in cui ha giocato con l’analogico e si e’ formata professionalmente col digitale. Forse siamo unici da questo punto di vista, siamo quelli a cavallo non di una generazione ma di un epoca. Per uno come me schiavo della ricerca di informazione e’ stata la rete a darmi il più grande supporto.

Tu personalmente che equipaggiamento usi? Dalla foto/videocamera alle tue lenti preferite, gimbal?
Dipende molto dal lavoro, da cosa si vuole comunicare e dalle risorse economiche. In generale sono convinto che non e’ lo strumento a fare il musicista e che il miglior equipaggiamento si debba avere è un grossissimo bagaglio esistenziale inteso come esperienza di vita, vita di strada, conoscenza del linguaggio e soprattutto Idee e voglia e coraggio di esprimerle.

Il filmmaker del 21esimo secolo spesso comprende più figure professionali che in passato erano separate: regista, operatore, autore, direttore della fotografia… e via discorrendo. Quali sono gli aspetti di cui ti occupi personalmente per quanto riguarda la produzione dei tuoi video?
Oltre alla Regia, difficilmente riesco a separarmi dal Montaggio per quanto ho raccontato, e credo fortemente che il montaggio sia la Regia della post produzione. Per tutti i miei primi lavori ho curato la direzione della fotografia e per questo motivo quando lavoro con il Dop mi piace prima esprimere le mie sensazioni visive accennando a dettagli tecnici poi se mi accorgo che parliamo lo stesso linguaggio mi piace fidarmi e affidarmi. La componente autoriale invece da sempre ha giocato un ruolo decisivo durante la fase di preproduzione di ogni mio lavoro e per me e’ un aspetto estremamente essenziale del quale non potrei fare a meno.

Nel tuo portfolio troviamo video di moda (Esprit, Intimissimi), video musicali (Negramaro, Dolcenera), pubblicità (Maserati)… che tipo di video preferisci girare, ma soprattutto perché?
Sono lavori che mi danno il pane quotidiano, lavori che considero come opportunità per continuare a fare palestra e alimentare la mia sete di conoscenza del mezzo, lavori che continuo a realizzare con estremo entusiasmo, serietà e impegno, ma se devo essere sincero, anzi voglio essere sincero, nulla di tutto questo. Quello che preferirei girare in realtà e’ qualcosa che non ho ancora realizzato (e credo fortemente si tratti di un ancora Kantiano): un Docufilm. Trovo che sia il formato più adatto  per diffondere un necessario senso del vero nella società, la cura per tutti gli avatar che dialogano passivamente in una cultura nichilista. Il nostro lavoro deve essere anche e soprattutto etico, altrimenti continueremo ad avvelenarci ingurgitando piatti sempre più’ belli ma sempre più’ avvelenati. Gianfranco Rosi in questo e’ l’esempio da seguire. Sacro GRA e Fuocoammare sono Capolavori del Cinema.

Quali sono i consigli che puoi dare a chi si sta avvicinando alla carriera di filmmaker? Quali i passi da seguire, quali gli errori da non commettere?
Non sono mai stato in grado di dare consigli nemmeno a me stesso, figuriamoci ad altri. E’ una responsabilità troppo grossa. Gli errori invece, quelli vi auguro di farne tanti, perché sono le uniche cose che tu permettono di crescere come professionista ma soprattutto come Uomo, purché si impari a riconoscerli volta per volta e a chiedere scusa agli altri ma soprattutto a se stessi. Errare è umano, perseverare non lo è.

Ringraziamo Gabriele Surdo per l’intervista
www.gabrielesurdo.it
https://www.instagram.com/gabriele_surdo/

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